Sicurezza informatica, al Sud il primo gap è nel budget e nella percezione del rischio
Poche aziende del Sud hanno approfittato della digitalizzazione “forzata” innescata dal lockdown per alzare il livello della propria sicurezza informatica o addirittura per ripensare le proprie infrastrutture e il gap delle imprese, in un’area in cui gli indici Desi mostrano già un deficit generale di digitalizzazione, è rimasto sul tavolo con i suoi due peccati originali: la limitata coscienza del rischio e il budget insufficiente dedicato al tema. Al ConfSec, dal 2015 appuntamento sulla sicurezza informatica del Sud Italia, le priorità emerse dagli incontri a cui hanno partecipato 700 soggetti tra aziende ed enti (P.A, Università, istituti di ricerca) hanno riguardato la necessità di formazione, sia specialistica dei tecnici sia nell’approccio dell’utente finale, ma anche l’urgenza di fare della cybersecurity un asset della propria azienda. «Da una parte – spiega Lino Fornaro del Comitato organizzatore dell’evento e membro del direttivo di Clusit, l’associazione italiana per la sicurezza informatica - c’è una inconsapevolezza dei pericoli: i decision maker delle aziende non comprendono i rischi dei possibili attacchi informatici o i responsabili alla sicurezza non riescono a trasferire ai vertici aziendali quale impatto una violazione informatica avrebbe per la reputazione e per la continuità del business; dall’altra, strettamente legato al primo, c’è l’assenza di un budget specifico da destinare alla cybersecurity, e che invece viene ricavato all’interno del budget per l’IT.